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Il Blog di Francesco Ernandes

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Postilla » Lavoro » Il Blog di Francesco Ernandes » Diritto del lavoro » Siamo uomini o workaholisti? “Liberi” professionisti o morbosamente “dipendenti” dalla professione?

1 giugno 2016

Siamo uomini o workaholisti? “Liberi” professionisti o morbosamente “dipendenti” dalla professione?

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Carissimi lettori, vorrei attirare la vostra attenzione su un argomento un po’ particolare e delicato:  il “workaholism” ovvero  la dipendenza da lavoro, da libera professione (nel nostro contesto); crasi dei termini inglesi work (lavoro) ed alcoholism  (alcolismo), il termine viene utilizzato per la prima volta nel 1971 in USA, ad opera di Wayne Edward Oates (medico-psicologo, 1917-1999) con la pubblicazione del libro “Confession of  workaholic”.

La traduzione letterale nostrana è: “sindrome da ubriacatura professionale-lavorativa”; un disturbo ossessivo-compulsivo, insomma  un comportamento patologico di una persona troppo dedita alla professione, al  lavoro, che pone in secondo piano la sua vita sociale e purtroppo anche quella  familiare (intima e personale) , fino al punto da causare danni a se stesso (con possibili ricadute negative sulla salute fisica), al coniuge, ai figli quindi alla  famiglia e anche agli amici;  burn-out (sindrome da stress lavorativo) o work-addiction (lavoro-dipendenza) le conseguenze . L’alcolismo da lavoro, è una delle nuove dipendenze socialmente  diffuse e soprattutto socialmente accettate.

Forse, stenterete a crederlo ma i settori maggiormente colpiti  da questo problema sono proprio quelli della libera professione:  artigiani, avvocati, commercialisti, consulenti, manager . I “superprofessionisti h24″  (superlavoratori),  così come gli alcolisti, passano da cariche adrenaliniche simili all’euforia quando sono attivi, per passare a crolli depressivi e ansiosi quando sono inermi, privi di attività; risultano sempre disponibili a connettersi, pronti a prendere la valigia e  recarsi lì dove l’azienda ha bisogno, da un giorno all’altro; non distinguono lo studio dalla casa; portano il lavoro spesso in casa (e soprattutto, permettete la battuta, spesso anche a letto!), nel week-end o in vacanza.

Nella maggior parte  dei casi, il workaholist, non si rende conto il più delle volte della sua condizione  «lavorocentrica», in perfetta buona  fede,  persevera nel lavorare duramente, dieci, dodici ore al giorno, rispondendo alle centinaia di mail in arretrato, portando  lavoro o incarichi e attività professionali a casa, evitando ferie (o perlomeno periodi di riposo) occupando le notti i weekend indaffarati tra palmare, computer e cellulare. Chi è affetto da questa dipendenza, nel caso in cui si  accorge del proprio stato, ritiene anche di  poterne uscire facilmente da solo, ma purtroppo non sempre è così.

Fermiamoci allora un attimo, prendiamoci qualche minuto del nostro “prezioso” e “irrinunciabile” tempo per riflettere un po’ sulla nostra condizione … (senza ovviamente fare allarmismi, ci teniamo a puntualizzarlo!) e poniamoci allora, senza paura, alcune domande:

– abbiamo seria difficoltà al rilassamento durante il tempo libero, anche nei fine settimana o nei periodi di vacanza?

– i momenti i riposo e relax , hobby sport o svago, ci creano sensi di colpa visto che ci allontanano dall’attività, dalla professione e dal  lavoro?

– alcune volte ci isoliamo?

– tendiamo a non assentarci mai dallo studio addirittura anche in caso di malattia?

– ci distacchiamo dalla famiglia (dal partner e dai figli) portandoci lavoro ed incarichi anche e soprattutto a casa?

– soffriamo spesso di ansia e cambiamenti di umore?

– pensiamo in alcuni frangenti di avere esaurito le risorse sia fisiche che mentali?

– non riusciamo a delegare il lavoro, creando evidenti problemi relazionali con i colleghi di studio e nei workgroup,  fino ad arrivare a situazioni limite di  c.d. burn-out”?

– facciamo spesso uso e abuso di lavoro notturno con uso di eccessive dosi di caffè per ridurre le ore di sonno?

Se pensiamo di avere anche uno solo di questi sintomi o difficoltà e (quindi di rientrare in questa “dipendenza”) non ci allarmiamo, ma piuttosto cominciamo ogni tanto, come si dice, a “staccare la spina”;  allontaniamoci un po’ dagli oggetti tecnologici multimediali come smartphone, tablet, pc, ecc. visto che questi sono ormai efficaci strumenti professionali e data la loro essenza inducono l’utente all’iper-utilizzo; cerchiamo di controllarci imponendoci delle regole come ad esempio evitare di fare attività lavorativa durante i pasti, le festività, i momenti di famiglia ecc; dedichiamo del tempo allo sport, agli hobby , alla famiglia insommo procuriamoci “uno stacco”.

Carissimi lettori, colleghi, con questa argomentazione, non abbiamo voluto ovviamente assolutamente fermare l’attivita professionale e lavorativa di tutti voi, né creare seri e gratuiti allarmismi; nostro scopo e quello di tentare di far  riflettere (sottoscritto compreso) e portare l’attenzione sulle possibili conseguenze negative, dell’alcolismo da professione (o lavoro); questo fenomeno è ormai una delle dipendenze socialmente diffuse e purtroppo ormai socialmente accettate (degenerazione del vecchio e superato fenomeno “stacanovista” ).

Il nostro consiglio è  quindi di tenere sotto controllo il proprio livello di workaholic,  facendo particolare attenzione a non superarne i livelli di guardia (che si raggiungono senza accorgersene) nei casi di non controllata e smisurata dedizione alla attività professionale o lavorativa; ciò può portar(ci) con il tempo a gravi conseguenze: in primis sullo stato di salute, felicità personale,  e nelle relazioni personali e familiari e conseguentemente all’esaurimento delle nostre forze e capacita intellettive con impatti devastanti, nostro malgrado, purtroppo anche sulle performance professionali.

www.studiomaer.it

 

Letture: 4427 | Commenti: 1 |
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Un commento a “Siamo uomini o workaholisti? “Liberi” professionisti o morbosamente “dipendenti” dalla professione?”

  1. eleonora scrive:
    Scritto il 23-6-2017 alle ore 15:24

    Buonasera,

    Capito su questo suo blog per caso. Ma secondo lei mi conviene o no fare il praticantato per diventare consulente del lavoro (a Roma)? È vero che anche il povero praticante deve versare un contributo all’Ordine? La ringrazio per la risposta che potrà gentilmente darmi….

    Eleonora

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